INSIEME PER IL LAVORO

Siamo preoccupati, inutile girarci intorno. Sul piano del lavoro le cose non vanno. La crescita dei posti di lavoro è molto lontana dal recuperare ciò che si è perso dall’inizio della crisi del 2008. I dati ci dicono di come le stesse condizioni di lavoro non siano in molti casi migliorate. E’ in aumento il numero dei lavoratori sottoccupati, in possesso di titolo di studio.
Per non parlare degli incidenti sul lavoro, anche gravi, che vedono la provincia di Pesaro-Urbino ai primi posti nella regione. Ciò rende purtroppo ancora attuale l’affermazione di Pio XI: […] “ la materia inerte…esce nobilitata dalla fabbrica, le persone invece si corrompono e si avviliscono”. (Quadragesimo Anno, 1931, n.134)

Ancora oggi, il contratto più ricorrente, al primo impiego resta, nel 50% dei casi, quello a tempo determinato. Seguito dall’apprendistato (14%) e dal lavoro cosiddetto intermittente (12%). Non sono buoni segni poiché, insieme al ridursi dell’entità e ai tempi brevi delle commesse, preludono al riaccendersi della crisi. Già nel nostro territorio si avvertono segni di recessione, insieme all’avvio delle procedure di licenziamento in alcune aziende di rilievo. Il rapporto Istat del 2018, rileva una situazione molto critica per le Marche. Dagli anni pre-crisi, la disoccupazione è più che raddoppiata, e si assesta al 10,6%. Oltre la metà dei disoccupati (il 55%) non lavora da più di un anno. Mentre le famiglie che versano in condizione di grave povertà superano il 9%. Situazione che fa innalzare il senso di insicurezza. Una famiglia marchigiana su quattro, si sente in pericolo. Ciò disegna un orizzonte debole che incide sulla possibilità per i giovani e per le famiglie di pensare con serenità alla propria vita. Anche per questo i ragazzi se ne vanno. Nel 2018 hanno abbandonato l’Italia in oltre 280.000, di cui un terzo laureati. Hanno lasciato le famiglie e sono partiti. Principalmente per i Paesi europei. Regno Unito, Germania, Francia in testa. Ma si emigra anche in Brasile, Stati Uniti, Canada e Portogallo e altri Paesi.

Di fronte a queste e a tante altre sofferenze la Chiesa, non solo è tenuta, ma ha il dovere di intervenire, a fianco della comunità. Lo fa con il Magistero sociale. Una cura e un messaggio costanti, con cui la Chiesa si rivolge all’uomo, nella sua totalità, nella sua vita temporale e sociale. Perché religione e vita non si possono separare. E’ anche per questo che si è svolta una Veglia di Preghiera per il Lavoro il 30 Aprile alle ore 21.00 nella Chiesa di San Giuseppe con la collaborazione dell’ufficio dei problemi sociali e del lavoro delle tre diocesi (Pesaro, Urbino e Fano), dell’Azione Cattolica di Pesaro e Fano, del Movimento Cristiano Lavoratori, degli animatori del progetto Policoro delle tre diocesi.

E’ un momento di riflessione e di sensibilizzazione dell’intera comunità locale. Perché ce lo ricorda San Giovanni Paolo II “il lavoro umano è una chiave e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista del bene dell’uomo”. (Laborem Exercens. n.3) E’ stata scelta la chiesa intitolata a San Giuseppe, oltre che per il suo indubbio valore simbolico (San Giuseppe lavoratore) anche perché la chiesa è stata impreziosita, negli anni, dall’opera dei falegnami di Pesaro, che l’hanno abbellita con fregi e decorazioni in legno.

Qualcuno potrà obiettare sul senso, per non dire sull’efficacia, di un incontro di preghiera come antidoto alla crisi e alle difficoltà. Non è questo. La preghiera non è una metafisica, né tanto meno magia. La preghiera collettiva è invece la cosa più concreta che possa esistere. E’ un moltiplicatore di energie che aiuta a superare le difficoltà e a costruire nuove prospettive.

In un contesto di generale indebolimento della rappresentanza sociale, nuovi soggetti devono occupare lo spazio pubblico abbandonato, per promuovere giustizia e sviluppo. Sono le famiglie, le associazioni, le organizzazione di volontariato, alle quali va riconosciuta una titolarità e un ruolo negoziale, nei confronti di amministrazioni, istituzioni e imprese. Per il resto la storia non siamo noi. Non ci illudiamo. La storia ha una sua profonda ragione. Tutt’al più noi siamo il mezzo attraverso il quale la storia si realizza. Ci possiamo mettere del nostro, questo si: far bene la nostra parte e cercare di lasciare la migliore testimonianza del nostro passaggio.

Gian Luigi Storti.

veglia 1 maggio 2veglia 3